Con la sentenza n. 1156/2016 il Consiglio di Stato ribadisce
che “l’azione di annullamento, proposta innanzi al giudice amministrativo, è
subordinata alla sussistenza di tre condizioni:
a) la titolarità di una posizione giuridica, in astratto
configurabile come interesse legittimo, inteso come posizione qualificata – di
tipo oppositivo o pretensivo – che distingue il soggetto dal quisque de populo
in rapporto all’esercizio dell’azione amministrativa;
b) l’interesse ad agire, ovvero la concreta possibilità di
perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso
il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse
protetto, a norma dell’art. 100 Cod. proc. civ.;
c) la legittimazione attiva o passiva di chi agisce o
resiste in giudizio, in quanto titolare del rapporto controverso dal lato
attivo o passivo”.
Per pacifica giurisprudenza la legittimazione dei soggetti terzi, non direttamente destinatari del provvedimento, è riconosciuta nel settore dell’edilizia “in base al criterio cosiddetto della vicinitas, ovvero in caso di stabile collegamento materiale tra l’immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori, quando questi ultimi comportino contra legem un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio; quanto al pregiudizio della situazione soggettiva protetta dei medesimi soggetti terzi, il danno è ritenuto sussistente in re ipsa per gli abusi edilizi, in quanto ogni edificazione abusiva incide se non sulla visuale, quanto meno sull’equilibrio urbanistico del contesto e l’armonico e ordinato sviluppo del territorio, a cui fanno necessario riferimento i titolari di diritti su immobili adiacenti, o situati comunque in prossimità a quelli interessati dagli abusi; solo in rapporto alle scelte di pianificazione urbanistica, invece, si richiede che i titolari di aree limitrofe, non direttamente incise dalla nuova disciplina, diano riscontri probatori del danno riconducibile al godimento, o al valore di mercato, dell’area su cui insistano gli immobili dai medesimi posseduti, per effetto della nuova normativa”.
“Nella generalità dei casi descritti”, ha sostenuto il
Consiglio di Stato, “la legittimazione del terzo ad impugnare gli atti
riferibili a nuove edificazioni, prossime a quelli dai medesimi posseduti,
risponde con ogni evidenza ai profili di legittimazione – sia ad causam che ad
processum – in precedenza indicati, poiché l’Amministrazione – nel disciplinare
l’edificabilità dei suoli o nell’autorizzare singoli interventi – vede
potenzialmente contrapposti ai propri atti gli interessi legittimi non solo dei
diretti destinatari degli atti stessi, ma anche dei terzi (proprietari o
detentori qualificati di aree o immobili limitrofi) che sono direttamente
tutelati dai limiti imposti all’esercizio di ius aedificandi e che hanno,
pertanto, una posizione differenziata rispetto agli altri appartenenti alla
collettività, in ordine al rispetto di tali limiti”.
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